letto da: 280
0 0
Tempo lettura articolo:3 Minuti, 46 Secondi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I ricercatori della Sapienza di Roma hanno avvistato i segnali che possono aiutare a predire l’orientamento prima dell’impatto sulla Terra, previsto entro marzo. In orbita il satellite dovrebbe disintegrarsi a una distanza di 70 chilometri


ROMA – Anche l’Università La Sapienza si unisce al resto della comunità scientifica mondiale nell’avvistamento del satellite cinese fuori controllo. Si chiama Tiangong-1, significa il ”Palazzo celeste” ed è un modulo di una stazione spaziale largo sedici metri e dal peso di otto tonnellate e mezzo: da settembre 2016 è stato dichiarato “out of control” e per ora si sa che cadrà sulla Terra entro i primi tre mesi del 2018 (nel conteggio restano, quindi, metà febbraio e tutto marzo).

I ricercatori della Sapienza del S5 Lab guidato dai professori Fabrizio Piergentili e Fabio Santoni a metà gennaio hanno estrapolato da un video le ‘curve di luce’ che possono aiutare a predire l’orientamento del satellite prima dell’impatto sulla Terra. “E’ importante capire la resistenza all’aria di questo modulo spaziale e quindi prevederne la traiettoria”.

Tiangong-1 si muove a otto chilometri al secondo con una orbita a spirale: ogni ora e mezza fa il giro della Terra e a ogni nuova orbita è più in basso, leggermente più in basso. In queste ore è calcolato a 270 chilometri d’altezza e a fine marzo, quando sarà a settanta chilometri, l’atmosfera più densa lo surriscalderà oltre il sostenibile e ciò che resta del corpo inizierà a scendere a una velocità maggiore fino al collasso sulla Terra. “Il problema è che i cinesi non vogliono dire quanto propellente il satellite abbia a bordo”, spiega il professor Piergentili, “è molto probabile che assisteremo a una vera e propria esplosione in cielo”. La pioggia di detriti prevista in caduta sulla Terra potrebbe allargarsi su un’area di mille chilometri di diametro.

La comunità di astronomi e ingegneri aerospaziali che segue Tiangong-1 non ha ancora individuato il punto di caduta. Fin qui è stato accertato che le parti che supereranno il “muro di calore” – pezzi metallici anche di 100 chili l’uno – impatteranno la superficie terrestre in una zona compresa fra il 43° parallelo Nord e il 43° parallelo Sud, area comprendente anche parte dell’Italia, da Firenze in giù. L’individuazione, come si vede, è assolutamente approssimativa per poter dare indicazioni utili alla gestione della caduta (in mare? In un deserto?). “Fino a sei, sette ore dall’impatto non si potrà conoscere il punto preciso”, hanno già fatto sapere ricercatori americani.

“Di prassi il rientro dei satelliti dovrebbe avvenire in maniera controllata, si cerca di imporre da Terra una traiettoria che porti eventuali residui verso zone disabitate, per lo più nell’area del Pacifico”, ancora il professor Piergentili, “ma in questo caso non è possibile intervenire e modificare la rotta del modulo fuori controllo. La comunità scientifica internazionale sta cercando di affrontare questi nuovi problemi”.

La Sapienza Scientific Observatory Network (Sson) è costituita da alcuni osservatori gestiti direttamente dall’università, dislocati sul territorio nazionale (due a Roma, due a Collepardo in provincia di Frosinone, uno ad Avezzano in provincia dell’Aquila) e uno a Malindi, Kenya. Si avvale, poi, della collaborazione di importanti centri internazionali (due sono in Cile, uno è a Berna).

E’ stato l’osservatorio di Imola a cogliere la luce dell’oggetto spaziale per sei minuti, anche se solo due di visibilità continua, acquisendo un campione video del modulo. Da queste immagini i ricercatori della Sapienza hanno tirato fuori le cosiddette “curve di luce” del modulo.

Il pezzo da otto tonnellate fuori controllo faceva parte del primo laboratorio orbitale cinese, nello spazio dal 2011 e pronto ad accogliere nel 2022 l’attracco delle navette Shenzhou. La struttura aveva già ospitato, nel 2012, la prima astronauta donna cinese, Liu Yang.

Nel 1979 i frammenti del ben più ingombrante Skylab della Nasa (77 tonnellate) finirono a Sud-Est di Perth, in Australia. Nel 1991 la base sovietica da 20 tonnellate Salyut 7 si schiantò in Argentina. Due anni fa un rifiuto spaziale è caduto a due chilometri da una centrale nucleare in Sudafrica.[fonte]

Lascia un commento