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Dallo studio di un gruppo di scienziati arriva la proposta di un nuovo modo per cercare le tracce indirette di un’eventuale vita su Marte.

Come cercare la vita su un pianeta alieno, in particolare su Marte? La NASA con i suoi rover Curiosity e Perseverance la sta cercando in vari modi, dallo studio di molecole che potrebbero essere di origine organica, fino alla ricerca di (eventuali) fossili batterici – se mai la vita riuscì ad attecchire miliardi di anni fa.

Un’altra carta. Ma c’è anche un’altra strategia, che è stata proposta da un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Andrea Baucon dell’Università di Genova, da Fabrizio Felletti dell’Università di Milano e altri ricercatori. È stata pubblicata su una delle più importanti riviste di biologia, PeerJ, e il bello è che si potrebbe applicare fin da subito ai rover in circolazione su Marte. Stando a Baucon, infatti, tutt’attorno al cratere Belva, dove si trova il rover Perseverance, ci potrebbero essere “tane” e “piste” lasciate dagli antichi abitanti del Pianeta Rosso. Dopo avere confrontato i dati reali relativi a tane fossili (chiamate dai geologi icnofossili) con i rispettivi modelli ottenuti al computer, il gruppo guidato dallo scienziato si è posto la domanda fatidica: dove cercare (se esiste o è mai esistita) la vita su Marte?

La fossilizzazione è un evento eccezionale. Non è semplice puntare il dito su un’area ben precisa, poiché è ben noto che la vita extraterrestre potrebbe essere irriconoscibile a noi terrestri, perché diversa per forma e biochimica, oppure potrebbe essere stata cancellata dal tempo. 

Eccezionale. Inoltre vale la pena ricordare come la fossilizzazione sia un evento eccezionale anche qui sulla Terra, e lo dimostrano i pochi fossili relativi tempi più antichi che sono stati trovati finora. Poi decomposizione, impatti di meteoriti e processi geologici riducono ancor di più la possibilità di ritrovare un eventuale fossile extraterrestre.

Proprio per questo motivo Baucon ed i suoi coautori hanno proposto un nuovo approccio: «Invece di cercare resti fossili di interi organismi o loro frammenti, è più utile ricercare tane, piste, impronte e perforazioni, appunto gli icnofossili lasciati da eventuali organismi marziani». Ciò significa mettersi alla ricerca non di scheletri fossilizzati, ma di impronte lasciate dagli organismi che si sono fossilizzati. «Tra le testimonianze di vita più antiche della Terra ci sono proprio gli icnofossili, lunghi anche diversi centimetri, prodotti da batteri ed altri organismi unicellulari. Potrebbe essere successo anche su Marte», spiega Baucon. 

Ecco dove cercare. Sulla Terra, gli icnofossili sono molto abbondanti, perché possono resistere a quelle forze che cancellano le altre evidenze di vita. Tra l’altro, la morfologia degli icnofossili riflette il comportamento biologico dell’organismo che le ha prodotte, permettendo di rilevare la vita indipendentemente dalla biochimica di eventuali organismi extraterrestri.

La cartina del cratere Jezero, dov’è atterrato Perseverance. I luoghi indicano dove si dovrebbero cercare icnofossili. Ecco le analogie possibili con gli icnofossili terrestri: le bioturbation sono i tunnel lasciati da organismi viventi in movimento nel suolo; le bioerosion sono scavi lasciati da organismi; le biostratification sono livelli a volte millimetrici depositati da organismi viventi.

I ricercatori hanno anche sviluppato un modello matematico relativo al cratere Jezero, su Marte, dove al momento si trova Perseverance, e che un tempo era occupato da acqua e quindi potenzialmente favorevole alla vita e adatto per questo tipo di ricerca. Sulla base delle possibili analogie con gli icnofossili terrestri, il modello matematico quantifica, per ogni metro quadrato del cratere, la probabilità di trovare un icnofossile. «C’è molta matematica nel nostro studio, ma anche molto sudore», spiega Baucon.

Alcuni ricercatori hanno visto in queste strutture riprese da Curiosity strutture simili a bioturbazioni. Ma la NASA non si è mai pronunciata in proposito. © Nasa

Prima sulla Terra. Per sviluppare il modello matematico, i ricercatori hanno studiato 18 siti paleontologici sulla Terra, dalla Mongolia al Portogallo, passando per la Liguria. Il risultato sono tre mappe che indicano esattamente i luoghi dove c’è la più alta probabilità di trovare tracce di vita su Marte, se questa c’è mai stata. Quanto afferma Baucon ha un altissimo valore scientifico, perché se dovessimo osservare degli icnofossili potremmo essere certi che su Marte c’era vita senza “averla trovata”, ma più semplicemente portando alla luce le testimonianze indirette.

Gli scenari. Ma se gli icnofossili dovessero apparire agli occhi di Perseverance, la NASA avrà il coraggio di ammetterlo? O comunque di analizzare le immagini? In più di un caso, infatti, alcune fotografie hanno lasciato intendere che il rover Curiosity si fosse già imbattuto in bioturbazioni (vedi foto sopra) e vari ricercatori hanno ipotizzato che realmente potessero esserlo. Ma la Nasa non ha mai preso posizione né a favore né contro. Altri ricercatori infine (tra cui alcuni italiani) hanno evidenziato la presenza di stromatoliti (tra le forme di vita più antiche sulla Terra), ma anche in questo caso la NASA ha sempre taciuto. Speriamo non lo faccia se verranno alla luce nel cratere Jezero, anche perché ci si è andati apposta lassù per cercare la vita.[Fonte]