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Crediti: Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute. Illustrazione artistica di New Horizons 

La scoperta arriva dalla sonda New Horizons della Nasa, che ha analizzato il Cosmic Optical Background, ovvero l’insieme di tutte le emissioni luminose fuori dalla Via Lattea

Lo spazio profondo è un po’ meno buio. La sonda New Horizons della Nasa, lanciata nel gennaio 2006 alla volta del pianeta nano Plutone, ha individuato la possibile presenza di sorgenti inaspettate di luce nello spazio profondo, al di fuori della Via Lattea. La scoperta arriva dallo studio accurato del cosiddetto  Cosmic Optical Background (COB), che rappresenta la somma di tutte le emissioni luminose visibili esterne alla nostra galassia. La ricerca, recentemente accettata per la pubblicazione dal The Astrophysical Journal, è disponibile in preprint su arXiv. Insomma, forse da oggi l’universo è un po’ più luminoso del previsto.

Crediti: NASA/JHUAPL/SwRI. Plutone visto da New Horizons a una distanza di 450mila chilometri 

Il New Horizons delle meraviglie
Il nome è azzeccatissimo. La sonda New Horizons non smette di trovare nuovi orizzonti finora sconosciuti. Dopo essere stato lanciato, il 14 luglio 2015 ha sorvolato Plutone avvicinandosi come mai prima alla sua superficie, per poi continuare la sua esplorazione della cintura di Kuiper, una regione che si estende da Nettuno fino a una distanza di 50 Unità Astronomiche (UA) dal Sole. Qui ha avuto il primo incontro ravvicinato mai avvenuto ad opera di una missione con un oggetto celeste della cintura di Kuiper, chiamato Arrokoth. Attualmente la sua posizione molto esterna nel Sistema Solare è molto strategica per lo studio di fenomeni che avvengono al di là della Via Lattea, come in questo caso.

Una luce in fondo alla Via Lattea
Il Cosmic Optical Background (COB) è la somma di tutte le emissioni luminose, al di fuori della Via Lattea, con una lunghezza d’onda nella parte visibile dello spettro elettromagnetico, cioè che se potesse raggiungerci sarebbe percepita dai nostri occhi. Lo studio della luce del “background cosmico” è molto importante, secondo gli scienziati, perché parte di questa luce proviene da oggetti e fenomeni che non conosciamo e dunque può fornire informazioni sulla formazione, sulla composizione e su altri processi che regolano l’universo.

In particolare gli astronomi si sono concentrati su un componente del Cosmic Optical Background, la luce cosmica diffusa (dCOB). Questo componente non è associato a oggetti celesti, come stelle o galassie, già note. Lo studio dell’origine di questo bagliore diffuso è molto rilevante per gli scienziati: la luce potrebbe essere il frutto di processi ancora non dimostrati, essenziali per lo studio della materia, come il decadimento di particelle di materia oscura oppure provenire da corpi che si sono formati prima che l’universo assumesse l’aspetto che ha oggi. Finora questo studio è risultato complicato a causa di altre interferenze, come la luce zodiacale, un debole bagliore che appare lungo l’eclittica, soprattutto nelle vicinanze del Sole.

Lo studio
Oggi i ricercatori hanno analizzato i dati del Long Range Reconnaissance Imager (Lorri) della sonda New Horizons, che si trova in una posizione molto esterna e strategica per poter studiare anche la luce cosmica visibile. L’analisi è servita per misurare i livelli di luminosità del cielo nella banda ottica (visibile) rilevata quando la sonda si trovava a una distanza dal Sole compresa 42 a 45 Unità Astronomiche(UA), ovvero da circa 6,3 miliardi a oltre 6,75 miliardi di chilometri. Gli astronomi hanno poi svolto delle simulazioni al computer per studiare le sorgenti della luce, dopo aver eliminato origini note e altre eventuali interferenze.
 
Dall’analisi gli scienziati sono stati in grado di rilevare una componente diffusa, finora non associata alla presenza di stelle e galassie note e probabilmente proveniente da galassie deboli passate inosservate. Questa ipotesi implicherebbe che l’inventario attuale delle galassie non sia completo: in particolare, scrivono gli autori nella pubblicazione, fra quelle che hanno una magnitudine apparente uguale o più piccola di 30 potrebbe mancarne all’appello addirittura la metà. Dunque, un aggiornamento potrebbe rendersi necessario. Intanto speriamo di scoprire da dove viene questa luce inedita.[Fonte]