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C’è un piano per conservare i dati più importanti accumulati dall’umanità nei tunnel di lava della Luna. Può funzionare?

Dove conservereste ciò che di più prezioso abbiamo conquistato qui, sulla Terra? Per proteggere la biodiversità abbiamo costruito la Banca mondiale dei semi alle isole Svalbard, ma per mettere al sicuro i dati, briciole in bit di conoscenza umana, c’è chi ha adocchiato qualcosa di più irraggiungibile: la Luna.

La Lonestar, un’azienda statunitense specializzata in cloud computing (la tecnologia che permette di archiviare i dati in Rete), ha un piano per custodire sul nostro satellite i dati accumulati dal genere umano – un progetto molto più concreto di quanto appaia.

Bunker sotterranei. Secondo il CEO dell’azienda Christopher Stott, «i dati sono la più importante valuta creata dall’uomo». Non è allora controintuitivo spedirli sulla Luna, luogo inospitale per antonomasia? Il nostro satellite non possiede un’atmosfera che ripari la superficie dalle radiazioni cosmiche, e ha temperature che oscillano tra i 106 °C del giorno e i -183 °C della notte. Non proprio il clima ideale per fragili componenti hardware.

Ma la Lonestar guarda piuttosto al sottosuolo lunare, in particolare ai tunnel scavati dalla lava sotto alla superficie durante la passata attività vulcanica del satellite. Ce ne sono anche sulla Terra, ma la Luna ne possiede in abbondanza, e soprattutto, in ragione della ridotta gravità lunare (pari a un sesto di quella terrestre), le loro dimensioni non risultano costrette come sul nostro pianeta. Alcuni superano abbondantemente il chilometro di diametro: sono abbastanza ampi da ospitare intere città, figuriamoci qualche datacenter.

Necessità o opportunità? L’ostile ambiente lunare sarebbe per i nostri dati più sicuro e affidabile del nostro disastrato pianeta, trasformato dal global warming, sconquassato dalle guerre, dai cyber attacchi e dalla minaccia nucleare. Persino l’indistruttibile Global Seed Vault delle Svalbard si è allagata, come conseguenza dei cambiamenti climatici…

La NASA, che ha in programma un ritorno sulla Luna con le missioni Artemis, ha già iniziato a programmare un Lunar Data Centre che possa supportare la gestione di grandi quantità di dati e la capacità di calcolo di esperimenti compiuti sulla superficie lunare – il contratto, con il coordinamento dell’Agenzia Spaziale Italiana, è stato affidato all’azienda Thales Alenia Space, che ha sede a Torino. La Lonestar vuole inserirsi nello stesso settore, ma dal punto di vista commerciale.

I prossimi passi. L’azienda ha firmato un contratto per condurre un piccolo test di software nel corso della missione spaziale privata Intuitive Machines 1 (IM-1), che dovrebbe far atterrare un lander sulla Luna a fine 2022. L’azienda proverà a conservare una piccola quantità di dati in un “payload virtuale” a bordo del lander per due settimane, la durata di un dì lunare. Se tutto va bene nel corso di una seconda, analoga missione (IM-2) al lander sarà affidato un hardware delle dimensioni di un libro sul quale saranno condotti test di upload e download.

Future missioni potrebbero consegnare sulla Luna server capaci di archiviare 5 petabyte di dati entro il 2024, e 50 petabyte per il 2026: abbastanza da contenere tutte le parole mai scritte dall’umanità, in ogni lingua ed epoca storica. Sognando in grande, per allora il datacenter di Lonestar dovrebbe poter ospitare traffico di dati verso e dalla Luna alla velocità di 15 Gibabit al secondo, più rapido di una connessione internet domestica a banda larga. [Fonte]

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