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Un team di ricercatori del Delft University of Technology assicura di aver trovato un sistema deterministico per teletrasportare informazioni che sfruttano i qubit tra atomi e dispositivi a stato solido distanti tra loro tre metr

LO STUDIO appena pubblicato su Science sembra essere un passo decisivo per lo sviluppo di quantum network e computer quantistici. Si andrebbe così verso comunicazioni elettroniche ultra sicure. Non grazie a strani algoritmi sempre pronti a esser craccati da esperti d’informatica mal intenzionati, bensì grazie alle leggi della fisica: sono la promessa dei quantum network, reti che sfruttano le leggi della meccanica dei quanti per segnalare la presenza di eventuali spie nel canale in cui viaggia l’informazione.

Crearle è una sfida che coinvolge il cosiddetto teletrasporto quantistico, una realtà in fase di  test ormai dal 1998. Ma se fino ad oggi gli esperimenti su lunga distanza hanno riguardato per lo più solo fotoni –  cioè particelle di luce che non interagendo tra loro, non possono creare un sistema perfettamente efficiente né memorizzare le informazioni localmente –  un grande passo in avanti è stato appena fatto da un team di ricercatori del Delft University of Technology, guidati da Ronald Hanson.

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Ci sono voluti due chip composti da diamanti, conservati nell’elio liquido, a 270 gradi celsius sotto zero, e raggi laser. Ma alla fine ci sono riusciti. Usando le pietre preziose create in laboratorio, gli scienziati olandesi assicurano di essere stati i primi ad aver trovato un sistema deterministico per teletrasportare informazioni quantistiche tra atomi e dispositivi a stato solido che si comportano come veri hard disk. Un metodo perfettamente efficiente e replicabile che è stato testato su una distanza di ben tre metri. Contro il mezzo metro iniziale e l’88 per cento di probabilità di successo raggiunto da Jen-Wei Pan due anni fa. Il margine di fallimento è ora pari a zero e la qualità dei dati trasmessa si aggira intorno al 77 per cento.

Il risultato dello studio appena pubblicato su Science sembra posare un tassello decisivo per il possibile sviluppo pratico di un quantum network, ma anche dei computer quantistici: macchine futuristiche che sfruttando le regole della meccanica teorizzata agli inizi del Novecento, come ad esempio la sovrapposizione e la correlazione di stati, saranno capaci di avere delle eccezionali capacità computazionali.

“Il gruppo di Hanson – commentano a Repubblica.it Alberto Peruzzo e Alberto Politi, due degli italiani che nel 2012 hanno creato il primo processore in grado di lavorare su stati quantistici – ha dimostrato che questo tipo di teletrasporto è possibile con il cento per cento di efficienza. Perciò, mentre fino ad ora sono state fatte dimostrazioni probabilistiche, cioè schemi che funzionano una frazione delle volte, qui il metodo funziona sempre. Il nuovo risultato rappresenta un passo  in avanti verso la costruzione di nuovi dispositivi di comunicazione e computazione basati sui quantum bits”.

Non è Star Trek. Il teletrasporto quantistico è molto lontano dall’immaginario creato dalla fantascienza. Dimenticate oggetti che si smaterializzano improvvisamente dalla scrivania, per poi riapparire dall’altra parte del mondo. C’è invece un passaggio d’informazioni quantistiche da un sistema fisico a un altro. Il tutto senza spostare la materia cui sono legate. Spiega Cristian Bonato, trentaquattrenne padovano ricercatore al Delft, non coinvolto nell’esperimento: “Questo tipo di informazioni non sfrutta i bit classici, che possono assumere due stati binari: O e 1. Ma i cosiddetti quantum bits che, in base al principio di sovrapposizione quantistica, possono essere 1 e 0 contemporaneamente. I quantum bits hanno anche un’altra capacità: quella di essere trasferiti da una particella all’altra usando il teletrasporto, realizzabile grazie a una particolare proprietà della meccanica quantistica”.

Il principio in questione si chiama entanglement, una sorta di misterioso “intrecciamento”, per cui due particelle una volta che sono entrate in contatto tra loro, rimangono connesse anche quando vengono separate e poste a grandissima distanza: ad esempio, una sulla terra e l’altra sulla luna. Sfruttando questa correlazione, una misura dello stato dell’una comporta automaticamente un cambiamento opposto dello stato dell’altra. Un fenomeno intuitivo che non esiste nella fisica classica e piaceva poco ad Albert Einstein. Uno “spaventoso effetto a distanza”, era stata la definizione usata dal genio della fisica in una lettera a Max Born, che l’aveva portato persino a dubitare della validità della meccanica quantistica.

Einstein aveva torto? “Secondo Einstein – prosegue Bonato –  le leggi della meccanica quantistica erano talmente strane da non essere plausibili. Il fisico credeva che l’anomalia fosse dovuta al fatto che  non abbiamo sufficienti conoscenze da individuare le vere leggi esistenti in natura perché ci sono delle variabili nascoste cui non abbiamo accesso”. Il tutto fino al 1964, quando il fisico John Stewart Bell propose un esperimento in grado di distinguere tra meccanica quantistica e teorie “a variabili nascoste”, basato sulle correlazioni tra quanti. Il prossimo passo dei ricercatori sarà riprovare l’esperimento a un chilometro e mezzo di distanza, in agosto. “Aumentando la distanza fra le particelle, possiamo garantire che non abbiano il tempo di comunicare tra di loro in alcun modo, perché possibili segnali si possono propagare solo alla velocità della luce. Così potremo verificare definitivamente il concetto di entanglement e chiudere il dibattito sul fatto che la meccanica quantistica sia la corretta e necessaria descrizione della realtà oppure no. Scopriremo presto se Einstein aveva ragione o si sbagliava”.

L’esperimento: i particolari. Più nel dettaglio, il team guidato da Hanson ha utilizzato gli stessi difetti che caratterizzano la colorazione del diamante, dove uno degli atomi di carbonio è mancante e un altro è sostituito da un atomo di azoto. Il primo passo è stato creare l’entanglement tra due singoli elettroni nei due chip conservati in due criostati contenenti elio liquido, usati per mantenere la temperatura a circa 270 gradi sotto zero. “Una volta preparati i nodi della rete quantistica e il canale grazie ad una complessa sequenza di impulsi laser, microonde e radiofrequenza, i miei colleghi hanno teletrasportato lo stato quantistico del nucleo di azoto contenuto in un diamante nel singolo elettrone presente nell’altro diamante, posto a tre metri di distanza. Trasferire lo stesso procedimento a chip molto più distanti è solo una questione di tipo ingegneristico. Saranno collegati da un chilometro e mezzo di fibra ottica, ma il principio di base sarà lo stesso”.

Rete sicura e quantum computer: le applicazioni pratiche e i limiti. Il modo più immediato in cui è possibile sfruttare questo nuovo risultato sarà la creazione di una rete quantistica. “In tali reti l’informazione sarà codificata su singoli fotoni e memorizzata in nodi locali costituiti, per esempio, da singoli elettroni e nuclei nel diamante. Il vantaggio è che sono strutture fondamentalmente sicure per il principio di indeterminazione di Heisenberg: semplificando, non è possibile conoscere contemporaneamente due caratteristiche di un oggetto quantistico. Perciò ogni tentativo di spionaggio introdurrebbe delle cosiddette perturbazioni e sarebbe facilmente rilevabile. Il protocollo di teletrasporto, dimostrato a Delft, consente appunto di trasferire l’informazione quantistica da un nodo all’altro della rete, mantenendo la capacità di rilevare l’intrusione di spie nel canale”.

Ma la creazione di un quantum network è lontana. “Si tratta ancora di una fase di sperimentazione fisica”, precisa Bonato. “Non siamo vicini a un apparecchio  vendibile. Vero, il metodo di teletrasporto funziona deterministicamente. Ma solo ogni volta che il canale è nello stato entangled. Proprio la preparazione dell’entanglement è il collo di bottiglia del sistema: per ora riusciamo a realizzarlo circa una volta ogni minuto. Certo, è migliorabile: al momento stiamo lavorando su cavità ottiche che dovrebbero rendere più facile l’accoppiamento tra elettroni nel diamante e fotoni, consentendoci quindi di raggiungere una velocità più elevata. Per non parlare del fatto che i quanti, seppur ricchi di potenzialità, sono anche estremamente fragili. Perciò la commercializzazione non è ancora prevista e non se ne parlerà prima di dieci anni”.[fonte]

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