Alla NASA c’è chi sta cercando di produrre il motore a curvatura che permette alla nave Enterprise di Star Trek di compiere viaggi interstellari a velocità maggiori della luce. Certamente si tratta di un progetto prematuro, ma secondo alcuni sarebbe l’unico modo per raggiungere pianeti abitabili che orbitano intorno a stelle vicine e in questo modo assicurare all’umanità un futuro a lungo termine di Mark Alpert
Quello che i fan di Star Trek non possono sapere è che nel mondo reale un fisico del Johnson Space Center della NASA a Houston sta studiando la possibilità di costruire un vero e proprio motore a curvatura.
Harold “Sonny” White, capo del programma di propulsione avanzata del centro, ha assemblato in laboratorio un apparato sperimentale progettato per creare piccole distorsioni nello spazio-tempo, il tessuto flessibile dell’universo. Se avesse successo, potrebbe infine portare allo sviluppo di un sistema in grado di generare una bolla di spazio-tempo deformato intorno a un veicolo spaziale.

Ciò che rende il progetto di White così eccitante è l’immensità della sfida. È incoraggiante sapere che anche in questa epoca in cui la parola d’ordine è stringere la cinghia, il governo federale è disposto a scommettere sul grande sogno dei viaggi interstellari.
Un numero sorprendente di scienziati, ingegneri e appassionati di spazio crede ardentemente in questo sogno. Hanno condiviso speranze e ipotesi nel corso di conferenze accademiche. Hanno fondato organizzazioni – come il progetto 100 Year Starship, la Tau Zero Foundation e Icarus Interstellar – cercando di gettare le basi per una missione interstellare senza equipaggio che potrebbe essere lanciata entro la fine del secolo. La loro convinzione è cresciuta negli ultimi anni, via via che gli astronomi hanno individuato una serie di pianeti simili alla Terra che orbitano attorno a stelle relativamente vicine al Sole.

Il problema è portarci la navicella in un ragionevole lasso di tempo. La NASA ha già una sonda che sta attraversando lo spazio interstellare: si tratta di Voyager 1, l’impavida navicella da 700 chilogrammi lanciata nel 1977 per studiare Giove, Saturno e i loro satelliti naturali. Dopo aver completato la sua missione primaria, la sonda ha oltrepassato l’orbita dei pianeti esterni, e nel 2012 ha lasciato il sistema solare, proseguendo verso lo spazio interstellare.
Voyager ha viaggiato per oltre 19 miliardi di chilometri dal suo lancio e attualmente si sta allontanando da noi a 62.136 chilometri all’ora. Ma anche a quella incredibile velocità, occorrerebbero almeno 70.000 anni per raggiungere una delle stelle vicine che potrebbero ospitare pianeti abitabili. Bisognerebbe perciò fare qualche significativo progresso nella propulsione spaziale per arrivare più velocemente.

La fusione nucleare è la fonte energetica utilizzata per produrre la bomba all’idrogeno e, se fosse adeguatamente controllata e sfruttata, la sua energia potrebbe accelerare una sonda fino a velocità fenomenali, migliaia di volte maggiori di quella di Voyager 1.
Ma sono cinquant’anni che i ricercatori cercano di costruire una centrale elettrica a fusione, senza molto successo. La tecnologia non è ancora stata messa a punto sulla Terra, e non è certo pronta per essere installata su una sonda spaziale.
Un altro grosso problema è la polvere interstellare. Anche se sono microscopici, i grani di polvere nello spazio profondo farebbero grossi danni a una sonda che li attraversasse alla velocità di milioni di chilometri all’ora. La navicella dovrebbe essere equipaggiata con una schermatura pesante, il che aumenterebbe la quantità di carburante necessaria per la propulsione.

Le complicazioni sembrano dunque infinite, come lo stesso spazio. L’enorme difficoltà del volo interstellare consente di spiegare il famoso paradosso formulato per la prima volta da Enrico Fermi nel 1950: se l’universo è pieno di alieni, dove sono tutti quanti? Forse gli extraterrestri non hanno mai visitato la Terra perché è troppo difficile raggiungerla.
Nonostante tutto, il sogno di un viaggio interstellare rimane ostinatamente in vita. Lo scorso settembre, il progetto 100 Years Starship ha tenuto un simposio sul tema appena un mese dopo la conferenza di Icarus Interstellar.
Mentre la NASA lotta per finanziare tutte le sue priorità, ovvero la costruzione di un nuovo sistema di lancio per i suoi astronauti e l’invio di nuove sonde su Marte, pianificare una missione interstellare può sembrare assurdamente precoce. Ma persone come Jill Tarter, pioniera della caccia ai segnali radio provenienti da civiltà extraterrestri, ritengono che l’esplorazione di altri sistemi stellari sia essenziale per la sopravvivenza a lungo termine dell’umanità.

Così il destino ultimo della nostra specie potrebbe essre tra le stelle. Forse in mille anni o giù di lì la nostra civiltà sarà simile alla Federazione dei Pianeti Uniti di Star Trek. Per raggiungere questo obiettivo, però, bisogna adottare il motto della nave stellare Enterprise: “Arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima”.
(La versione originale di questo articolo è apparsa il 23 aprile su scientificamerican.com. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)